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05 2009
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Ipotesi di carta dei diritti dei lavoratori della conoscenza

Mayday Network Milano

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Quando la conoscenza diventa merce, quando l'informazione e la cultura diventano merce, naturale conseguenza è che i lavoratori della conoscenza precipitino in una condizione di disconoscimento, di debolezza e di ricatto occupazionale.

L'Italia ha dichiarato guerra all'intelligenza. Vogliamo riprendere questo concetto, lanciato in Francia qualche tempo fa. L'intelligenza è stata sacrificata sull'altare corrotto dell'economia di mercato e del più miope e asfittico interesse privato.

Ci domandiamo quale futuro possa avere un Paese dove cultura e saperi si trasformano in territori da colonizzare, recintare e brandizzare. Un Paese dove l'arte è messa in vendita, un Paese che fa affidamento sulle "fondazioni", un Paese provinciale che vive nel culto di Facebook. Ci domandiamo se una tale semplificazione del discorso non abbia l'obiettivo di distruggere ogni tipo di legame sociale e, contemporaneamente, di libera espressione della personalità di ciascuno e ciascuna.

Quale spazio questo genere di società è pronta a dare alla produzione e alla circolazione del sapere? E come possiamo noi, diversamente, riprenderci questo spazio e i diritti che ci competono in termini economici, di salvaguardia sociale e di crescita personale?

Precarizzare un'intera generazione di knowledge workers, tagliare i fondi alla ricerca e alla formazione, i sovvenzionamenti ai teatri, ai musei, alle istituzioni culturali pubbliche, al cinema, alle cooperative editoriali e giornalistiche è funzionale all'ottenimento dell'appiattimento e della distorsione di contenuti, messaggi, offerte formative e culturali. E tutto ciò ha effetti nefasti per l'intero Paese: lo scadimento del ruolo e del senso dell'informazione, della formazione, della cultura innesca una progressiva spoliazione collettiva, sociale, della possibilità di esercitare pensiero critico e capacità di azione, collettivamente, socialmente per riaffermare il primato dell'interesse comune e della sfera pubblica, nonché dei dettami costituzionali, sui particolarismi e sulle mire insaziabili del profitto privato di settori sempre più ristretti e privilegiati della società.

A questa situazione già drammatica, si aggiunge oggi una crisi economica di proporzioni globali. Essa, ne siamo coscienti, rappresenta una ghiotta occasione per imporre ulteriori forme di disciplinamento del lavoro cognitivo. La crisi trascina infatti con sé devastanti processi selettivi che servono a spingere il lavoro cognitivo ancora un po' più giù rispetto al già basso gradino nel quale si trova collocato in questo Paese in guerra contro l'intelligenza. Lo fa scendere lungo l'asse della mediocrità, del timore, dell'afasia. Tutto ciò quando, invece, una delle cause di questa crisi sta proprio nel mancato riconoscimento del valore economico (in termini salariali) e sociale della gran parte del lavoro cognitivo.

Noi, lavoratori cognitivi dell'informazione e del settore dei media, dell'editoria e dell'industria culturale, della scuola e dell'università, della ricerca, dello spettacolo, della formazione e della relazione, del design e della comunicazione, non solo non pagheremo la vostra crisi ma, per porre un argine a questa deriva e iniziare a invertire la tendenza, riteniamo necessario unirci e riconoscerci su obiettivi comuni. Per questo rivendichiamo quanto contenuto in questa Carta, che sottoponiamo alla condivisione dei tanti e delle tante che si trovano a vivere la stessa condizione.

1) In primo luogo, rivendichiamo il diritto a essere intelligenti. Rivendichiamo cioè il diritto a un sapere e a una formazione del tutto indipendenti dagli obiettivi imposti dal mercato e dalle attuali logiche di produzione. La conoscenza, al pari dell'acqua o dell'aria che respiriamo, è un bene comune, individuale e universale, il motore collettivo che può garantire benessere e progresso al maggior numero di persone, e non una merce da vendere e comprare tot al chilo al mercato dei padroni del vapore, in funzione del profitto e del controllo sociale imposti dal capitale.  

2) Rivendichiamo quindi, fuori e dentro il luogo di lavoro, il diritto al riconoscimento e al rispetto delle nostre capacità, della nostra autonomia, delle nostre competenze e della nostra professionalità, dei nostri bisogni materiali e immateriali. 

3) Poiché il principale problema del lavoratore e della lavoratrice della conoscenza è la possibilità di scegliere e di opporsi a vari, possibili ricatti, rivendichiamo il diritto alla scelta e all'autodeterminazione. Ciò significa rivendicare il diritto a una garanzia continuativa di reddito. Per sua stessa natura il lavoro della conoscenza non è mai totalmente asservibile ai dettami di una rigida prescrittività, benché l'evoluzione tecnologica spinga in tale direzione. Esso tende a essere flessibile e intermittente. Vogliamo pertanto un reddito adeguato anche nei periodi di non lavoro. Chiediamo garanzia di reddito nelle fasi di disoccupazione. Non chiediamo solo sussidi e ammortizzatori sociali, ma sopra ogni cosa garanzie di reddito continuativo.

4) Rivendichiamo comunque la fissazione di un salario minimo orario per le prestazioni di collaborazione, occasionali e non. Una paga oraria minima in linea con il costo reale della vita e con le sue future variazioni.

5) Rivendichiamo la possibilità di scelta del tipo di contratto di lavoro. Respingiamo pertanto nettamente l'unilateralità dell'impresa che negli ultimi anni è dilagata come modalità "naturale" di chiamata all'impiego.

6) Vogliamo riappropriarci del nostro lavoro e del nostro tempo. Qualsiasi forma di contratto in esclusiva, totale o parziale, che limiti la nostra capacità di azione e di pensiero, deve essere ulteriormente remunerata.

7) Vogliamo libertà di espressione, comunicazione, apprendimento. L'autonomia cognitiva non è contrattabile. La prostituzione dei cervelli non è migliore della prostituzione dei corpi. Proprio perché la conoscenza è un bene comune, appartenente al singolo individuo e all'intera collettività, i frutti della conoscenza devono essere socialmente condivisi in un ottica di circolazione peer-to-peer.

8) Rivendichiamo il diritto ad accedere sempre, nel corso della nostra esistenza, in modo libero e gratuito alla formazione, all'aggiornamento, a processi di crescita culturale personale.

9) Indipendentemente dalla continuità dell'impiego e da una condizione di lavoro subordinata, rivendichiamo inoltre e vogliamo da subito i classici diritti minimi dello stato sociale: dall'accesso agli ammortizzatori sociali, alla malattia, alla maternità, dalle ferie pagate ai congedi parentali, dalla liquidazione di fine rapporto a un trattamento pensionistico sicuro e dignitoso al termine del ciclo lavorativo di ciascuno e ciascuna.

10) Abbiamo visto che le risorse economiche ci sono sempre quando si tratta di salvare le banche e le società finanziarie. Abbiamo visto che, nonostante il nuovo regime di lavoro flessibile e precario, intermittente, la produttività e la ricchezza complessiva si è accresciuta proprio in virtù della cooperazione e della potenza innovativa del General Intellect. Ciò che manca è dunque una equa distribuzione dei frutti di questo lavoro sociale già in atto. Tale distribuzione (reddito) insieme al complesso dei diritti che ne conseguono, noi, ora e qui, stabiliamo di chiamarli "welfare del comune". E' esattamente questo "welfare del comune" ciò che noi rivendichiamo.

Siamo convinti che la maggioranza dei lavoratori della conoscenza non accetterà ancora a lungo, e passivamente, le forme di controllo sulla formazione, l'apprendimento e i limiti proprietari e gerarchici dell'attuale meccanismo produttivo, le sue incertezze, la precarietà e lo sfruttamento generati dal dominio del capitalismo contemporaneo sulla vita e i corpi di noi tutti. I vincoli alla libertà e alla democrazia che tutto questo porta con sé sono sempre più evidenti, anacronistici e insostenibili.

I lavoratori della conoscenza, insieme a tutta la moltitudine precaria che compone il mercato del lavoro contemporaneo, possono diventare motori di una nuova cultura, di nuove iniziative democratiche, fondate sulla collaborazione, la condivisione, la socializzazione. Devono perciò rivendicare la libera circolazione del sapere che vuole dire anche spingere sull'idea di una nuova società basata sulla liberazione dal bisogno, sulla pace e sul rispetto dell'equilibrio della natura, sulla libera e gioiosa cooperazione fra gli individui, sulle potenzialità delle macchine e sulla creatività umana, messe al servizio di tutte e di tutti.


http://www.precaria.org/